Guardiola

Ansia e stress negli atleti.

L’ansia è un fenomeno naturale che si prova quando alcuni valori fondamentali (di sopravvivenza, sociali, psichici, sportivi) sono minacciati.
E’ lo stato di allarme, di attenzione, di vigilanza, che segue all’immediata percezione del pericolo e di fatto precede il manifestarsi del pericolo stesso. Lo stato d’ansia è la condizione di preparazione dell’organismo davanti ad uno stato di emergenza.
Lo stress è la reazione dell’individuo quando deve affrontare una esigenza o adattarsi ad una novità.
Come si può notare, molte sono le relazioni e i rapporti che intercorrono tra ansia e stress.
L’ansia è necessariamente messa in relazione con lo stress, poiché sono numerose le situazioni in cui gli atleti possono essere sottoposti a stimoli stressanti che provocano in loro stati d’ansia più o meno dichiarati.
Un processo stressante deriva dalla percezione di uno squilibrio tra le richieste ambientali e le capacità di risposta del soggetto e l’inadeguatezza ad affrontare tali richiesta è percepita come potenzialmente pericolosa.
Spesso, nel considerare le situazioni stressanti cui gli atleti sono sottoposti, si sono confusi, o usati impropriamente, i termini di attivazione e ansia.
Il primo indica esclusivamente l’attivazione dell’organismo, , rappresentando una situazione neutra che riflette solamente l’intensità dei cambiamenti del sistema nervoso autonomo; l’ansia, invece, esprime l’interpretazione cognitiva del soggetto che si accompagna ad un elevato grado di attivazione , in presenza anche di uno stato d’animo negativo.

È utile, per questo motivo, distinguere i concetti di ansia somatica e ansia cognitiva:
  • L’ansia somatica è la componente legata all’attivazione dell’organismo ed in particolare rappresenta la risposta fisiologica ad uno stimolo stressante.
  • L’ansia cognitiva rappresenta la componente mentale dell’ansia, che può avere origine da varie situazioni mentali negative, quali la paura del fallimento, la scarsa fiducia nei propri mezzi etc...


Nel 1956 Selye, considerata la grande confusione che si era venuta a creare intorno ai concetti di attivazione, ansia e stress, distingue quest’ultimo elemento dagli altri e lo suddivide in due parti contrapposte:
  • EUTRESS: stress positivo
  • DISTRESS: forma di stress negativo, che in psicologia dello sport, si identifica con l’ansia.

Ansia e stress ricorrono spesso nel linguaggio moderno, in quanto i ritmi a cui siamo sottoposti e le tensioni giornaliere continue, impediscono un po’ di svago e di relax e mettono continuamente a dura prova il nostro Sistema Nervoso.
Anche nello sport tutto ciò accade, anche se il tutto si può riassumere in due fattori che interagiscono tra loro:
  • l’incertezza del risultato della gara;
  • l’importanza attribuita alla gara.

I fattori stressori si possono dividere in:
  • "stressori" legati alla partita;
  • "stressori" non legati alla partita.

Gli stressori non legati alla partita possono essere:
  • il cambiamento di squadra o di città (il processo di adattamento richiede un certo periodo di tempo);
  • la diversità razziale e/o culturale (dominanza o eccessiva dipendenza);
  • il rapporto con i genitori e i parenti (nei bambini e negli adolescenti il rapporto con i genitori influisce fortemente sulla prestazione - pressioni, incitamenti, identificazione, proiezione del genitore sul giovane giocatore - creano un clima di tensione incredibile);
  • il rapporto con lo studio o con il lavoro (al lavoro si è stanchi, si va male a scuola);
  • il rapporto con l’allenatore (un allenatore troppo ansioso può "inondare" la squadra di ansia e con i bambini e gli adolescenti gli effetti sono devastanti; l’unica soluzione è che l’allenatore se ne accorga e che sia aiutato a prenderne consapevolezza);
  • l’ambiente societario (organigramma, obiettivi, mancanza di sponsor, stipendi in ritardo, mancanza di palestra, numero insufficiente di palloni);
  • i metodi di allenamento (una preparazione inadeguata facilita le manifestazioni ansiose dei giocatori, in quanto si sentono poco protetti sul piano tecnico, tattico e atletico).

Gli stressori legati alla partita possono essere:
  • la paura di non essere capace: il compito dell’allenatore è quello di accettare il giocatore con le sue ansie senza ridicolizzarlo, permettere ai giocatori di esprimerla, proteggere il giocatore ansioso, rincuoralo in caso di errore;
  • la paura di non essere in grado di controllare l’evolversi della partita: alcuni giocatori sono stimolati dalla partita, altri vivono la partita come un gioco, in quanto sanno che giocheranno tutti, che tutti hanno le stesse possibilità, che si sono allenati regolarmente durante la settimana, che possono contare sui compagni di squadra, che hanno un istruttore sereno anche in caso di sconfitta. Ad un giocatore senior può dare sicurezza, invece, conoscere alla perfezione gli schemi di attacco e di difesa della propria squadra, conoscere gli schemi della squadra avversaria, essersi allenato bene durante la settimana, poter scegliere l’avversario sul quale difendere;
  • il rapporto con le regole: la partita ha delle regole e bisogna rispettarle (regolamento di gioco). I bambini spesso non le conoscono, a volte non vengono gli arbitri, l’istruttore deve insegnare ai bambini le regole in modo progressivo (come insegna i fondamentali di gioco), non deve imporle, deve proporle ed accettare gli errori (infrazioni, falli). L’allenatore deve aiutare il giovane giocatore ad accettare le norme e l’autorità (arbitro), sgombrando il campo dai "persecutori" e dalle "vittime";
  • il rapporto con il pubblico: gli spettatori sono un elemento molto importante nello sport e nei contendenti, la presenza del pubblico dà la carica, ma a volte è anche un peso; per i bambini, a volte, la presenza dei genitori in tribuna è un peso;
  • l’importanza della vittoria: da non ricercare a tutti i costi;
  • il saper accettare con serenità la sconfitta.

Ogni soggetto manifesta una sindrome ansiosa soggettiva, con una sintomatologia molto individuale.
Lo sportivo (atleta, tecnico), prima di essere tale, è una persona ed è in questa persona che noi dobbiamo capire l’origine della sua ansia.
Più una persona è insicura, più la fiducia in se stessa sarà scarsa e sarà probabile che nella sua vita vi sarà una componente ansiosa costante: ansia da tratto.
Quando si prova ansia solo in determinate situazioni specifiche, si parla di ansia da stato, che si lega particolarmente agli stimoli ambientali.
Martens nel 1977, ha inserito questi due tipi di ansia nell’ambito sportivo, distinguendo tra:
  • ansia di stato competitiva: ogni singolo atleta vive prima di una competizione una grande ansia, che si manifesta sia a carattere cognitivo (aspettative negative verso se stessi, il risultato della gara, la propria prestazione), che somatico (modificazioni fisiche con l’avvicinarsi della gara);
  • ansia di tratto competitiva: che dipende dalla predisposizione del giocatore a percepire la gara con timore e tensione.

Il vero problema dell’ansia non è tanto quello della sua presenza, il vero problema è come l’allenatore e i giocatori la vivono.
È importante a questo punto analizzare i diversi momenti propri di una competizione sportiva, cercando di metterli in relazione con lo stato di attivazione dell’organismo e la capacità stressoria del momento in sé.


Il pre-gara
Un dato di fatto è che non tutti i giocatori e gli allenatori percepiscono negativamente le sensazioni fisiche e psicologiche del pre-gara.
L’andamento dell’ansia subisce delle modificazioni man mano che ci si avvicina alla partita.
Vi sono giocatori ed allenatori che interpretano le tensioni fisiche come il segnale positivo dell’attivazione della "macchina atletica" che si prepara alla gara ed altri, quelli sicuramente più fragili psicologicamente, vivono molto male queste sensazioni, si spaventano ed attribuiscono ad esse solo ed esclusivamente una connotazione negativa in funzione della gara. Appena questi giocatori ed allenatori percepiscono un aumento del battito cardiaco o delle tensioni muscolari, pensano di non avere più le capacità di dirigere la squadra o di compiere una prestazione di buon livello.
Il problema di queste persone è che, buona parte delle loro energie, vengono assorbite dalla necessità di tenere sotto controllo queste sensazioni e così facendo, sottraggono una buona fetta di energia all’obiettivo della gara (condurre bene la squadra e giocare bene).
A livello professionistico, se l’allenatore e lo psicologo sono d’accordo, può esserci una serie di interventi da parte dello psicologo, differenti per ciascun giocatore.
E’ questo il momento in cui lo psicologo può agire solo se ha una profonda conoscenza del gruppo, dei singoli giocatori, della situazione gara e delle tecniche a sua disposizione.
Nelle ore e nei minuti prima della partita, si sviluppa nell’allenatore e nei giocatori un’altissima tensione, quasi un "picco" nel livello di attivazione. E’ importante che venga ben gestito, in quanto un’alta tensione muscolare e psichica prolungata, può fare arrivare i giocatori esausti in campo.

La gara in se
L’entrare in palestra, aiuta generalmente ad abbassare il livello di attivazione dei giocatori, sebbene i diversi momenti della partita provocano brusche reazioni psicofisiche.
Il tiro, il rimbalzo, il salto a due, i tiri liberi o su azione, il rigore, la punizione, il muro, la schiacciata a pochi secondi dal termine dell’incontro, attivano nel giocatore e nell’allenatore, reazioni fisiologiche ed emotive molto intense.
Ma colui che sopporta gran parte di questa tensione, senza la possibilità di scaricarla, è l’allenatore.
Intorno a lui ruota, infatti, tutto il peso tecnico-tattico ed emozionale della partita e, più di reazioni ansiose, sarebbe opportuno parlare di stress.
Il termine della partita non decreta automaticamente la caduta della tensione, il livello di attenzione si è probabilmente abbassato rispetto al picco iniziale, ma ciò non è sempre vero e dipende dal risultato e dalla performance avuta dal singolo giocatore e dalla squadra.

Il post-gara
La tensione post-gara si manifesta con:
  • aggressività: esibita particolarmente quando il giocatore non ha fornito (o crede) una buona prestazione. L’aggressività può essere rivolta verso gli arbitri, il pubblico, i compagni, gli avversari, verso se stesso; se è rivolta contro se stesso provoca reazioni depressive più o meno transitorie e coincide facilmente con la sconfitta;
  • euforia: più piacevole come sensazione, ma non riuscire a controllarla e contenerla provoca dei problemi (fantasie e pensieri sulle partite successive).

Sulla tensione post-gara si può intervenire nello spogliatoio a livello:
  • corporeo: bagno caldo, massaggio, tecniche di rilassamento e di respirazione;
  • cognitivo-emozionale: l’allenatore interviene fornendo informazioni e rassicurazioni molto brevi sulla partita (sia in caso di vittoria che di sconfitta) e preparare la squadra al prossimo incontro.

È quindi fondamentale rilassarsi! Per farlo sarà utile l’intervento dello psicologo dello sport attraverso delle tecniche specifiche che possono essere il traninig autogeno, la musicoterapia o l mental training.
È importante che gli atleti riescano a riconoscere velocemente qual è la parte del corpo maggiormente in tensione, in modo da attivare un processo di rilassamento specificatamente rivolto a quelle aree.
Sarà a questo punto importante che l’atleta sia accompagnato verso la fase del raggiungimento dello stato di benessere generale, ciò avviene grazie al controllo del respiro e del battito cardiaco.

Purtroppo il passo tra l’ansia e lo stress è molto breve; il corpo umano, infatti, si difende da ciò che ritiene stressante attraverso l’adattamento in modo da proteggere il corpo da ciò che ritiene pericoloso per il proprio equilibrio fisico e psichico: tale adattamento prende forma attraverso delle azioni del sistema endocrino e del sistema nervoso che hanno lo scopo di preparare l’organismo a reazioni di attacco o difesa.
La risposta allo stimolo stressante avviene in tre fasi:
  • allarme
  • resistenza
  • esaurimento

Sarà utile, in situazioni di stress sportivo, verificare l’effettiva carica emotiva dell’evento responsabile dello stress e valutare le strategie di coping a disposizione dell’atleta o della squadra.
La valutazione dello stress può avvenire attraverso il reattivo CBA sport, dando particolare rilievo alle scale indicanti l’ansia di tratto e l’ansia di stato e il questionario psicofisiologico. Sarà utile inoltre far compilare la scheda delle situazioni ansiogene nello sport in modo da identificare precisamente la diversa intensità delle situazioni ansiogene descritte dagli atleti.
Le strategie più efficaci per la gestione dell’ansia e dello stress sportivo sono quelle di individuare precisamente le situazione ansiogene, di darne un valore e metterle quindi in ordine di importanza e di dare una risposta opposta e contraria a quella dell’ansia, attraverso la visualizzazione; sarà inoltre utile individuare le zone del corpo che presentano maggiore tensione, concentrare il proprio esercizio su di esse attraverso il controllo della respirazione e del battito cardiaco.

A conclusione tengo a mettere in evidenza l’importanza del fattore autostima in tutta la gestione delle situazioni stressanti o ansiogene: è attraverso il miglioramento e l’acquisizione di un buon livello di autostima che l’atleta può affrontare delle situazioni difficili senza sentire in maniera patologica il peso del risultato della prova: avere una buona autostima sarà garanzia di equilibrio e stabilità, anche quando le situazioni appaiono difficili o impossibili.
Da questo concetto emerge la fondamentale importanza di avere un allenatore che prima di essere un trainer sportivo sia anche un allenatore di uomini.