Colantuono

Rituali di attivazione e superstizione.

La parola "superstizione" ha un significato interessante, deriva, infatti, dal latino super stitio (stare sopra) ed ha la stessa radice della parola superstite, quindi per superstizione si intendono tutti quei riti, in prevalenza religiosi grazie ai quali ingraziarsi gli Deì, e quindi garantirsi la sopravvivenza.
Nelle superstizioni è spesso possibile riconoscere il persistere (eventualmente in forma modificata) di credenze pseudoscientifiche non più compatibili con la moderna cultura o di antiche ritualità religiose non più accettate dalla religione prevalente.
Ma il termine superstizione ha assunto anche una valenza meno spirituale, basti pensare a tutte le credenze legate ai numeri del lotto.
Anche lo sport è pieno di superstizione; molto spesso infatti uno sportivo reputa il successo o l'insuccesso di una sua prestazione ad un gesto, un indumento o a delle parole. Allora dov'è il confine tra un rituale d'attivazione pre-gara e un rito scaramantico?
Dinanzi ad una sconfitta ciascuno di noi, per strategia di coping, attribuisce motivazioni diverse al risultato della prestazione; spesso accade che per mantenere alto il proprio senso di autoefficacia si attribuisca la sconfitta a fattori al di fuori del nostro controllo.
Il rito scaramantico non è altro che un tentativo, spesso stereotipato, di controllare ciò che si ritiene non dipendente da noi stessi, ciò che di irrazionale accade sul campo, a cui comunemente si da il nome di fato.
I rituali di attivazione, utili a raggiungere lo stato psico-fisiologico di arousal ottimale e funzionale alla prestazione, hanno poco a che vedere con la superstizione, anche se possono essere scambiati con essa. Essi, infatti, hanno una caratteristica di specificità, quindi ogni rito di attivazione è individuale, uno non può essere identico ad un altro, quello di un gruppo non può essere uguale a quello di un altro gruppo.
La differenza sta, dunque, nell'attribuzione individuale di significato: mentre la superstizione attiva rituali mirati a bloccare o contrastare forze esterne che minano la prestazione, i rituali d'attivazione mirano, invece, a portare il livello energetico e motivazionale a livelli funzionali al contesto prestazionale.
Non è detto che i rituali con base scaramantica non siano comunque dei rituali che vanno ad influire sul livello d'attivazione dell'individuo.
E' ovvio che siano più significativi scientificamente i rituali di attivazione, sia perchè essi agiscono non sulle credenze dell'individuo ma direttamente sull'unione mente/corpo, sia perchè l'attivazione come concetto psicologico possiede una serie di indicatori che facilitano e rendono più valido il compito di analisi della ricerca.

Molti atleti, posti di fronte a domande sui propri riti rispondono il più delle volte in questo modo:
  • "Mi piace usare sempre gli stessi vestiti nelle gare. Ogni tanto però sono costretta a cambiare ovviamente";
  • "Io mi lego le scarpe sempre almeno 2 volte perché la prima non è mai perfetta! Poi assolutamente la maglia dentro i pantaloncini perché non riesco a correre con il vestiario che svolazza in giro (oltre a farti rallentare!), anzi ultimamente mi piace di più correre con gli shorts tipo ciclisti che con i pantaloncini normali (meno attrito nell'aria). Nelle gare in pista uso sempre lo stesso tipo di calzini, mentre in gare lunghe su strada (mezze maratone e più) ne uso un altro tipo. In pista da quest'anno mi tolgo sempre l'orologio in gara (ovviamente non in allenamento)".

In questi due esempi si può notare che non è il soggetto a dominare il rito, ma sono gli oggetti (co-attori del rito) a esercitare dominio sull'individuo.
Questo rende il rito superstizione.
Utilizzare le stesse calze, gli stessi indumenti intimi, la stessa maglietta, o lo stesso numero di partenza, equivalgono a riconoscere una forza superiore che senza il nostro sacrificio ci punirebbe con la sconfitta. Quindi tale sequenza di azioni ci subordina a non agenti.
Per modificare il preconcetto di rituale non agito, ma subìto, occorre, dunque, elencare le caratteristiche del rituale di attivazione:
  • Il rituale deve essere sotto il controllo, conscio o inconscio, dell'atleta.
  • Il rituale deve essere emotivamente significativo per l'atleta.
  • Il rituale deve essere costruito, allenato e studiato dall'atleta.
  • Il rituale è unico per ogni atleta o per ogni squadra.
  • Il rituale deve essere relativo al livello di attivazione ottimale per la gara.

Il rituale deve essere sotto il controllo, conscio o inconscio, dell'atleta.
Questa è la norma, come abbiamo visto, che discrimina i rituali d'attivazione dai rituali scaramantici. Il termine controllo, non vuole soltanto porre l'atleta come soggetto del rito, ma vuole porre l'individuo al centro dei significati del rito stesso; infatti, l'essere agente comporta la responsabilità della scelta dell'attuazione del rituale, che può essere consapevole o meno, ma nella quale, dato l'obiettivo del raggiungimento del livello d'attivazione ideale, l'individuo o il gruppo devono lavorare su se stessi, raggiungendo quell'armonia funzionale allo scopo. Non è detto che il rituale si agito nella pratica dall'individuo, ma l'essere agente consiste anche nella mera attribuzione di significato al rito.

Il rituale deve essere emotivamente significativo per l'atleta.
Il rituale deve essere, per sua natura, portatore di significati. Tali significati devono, per risultare utili al raggiungimento dell'obiettivo, contenere una forte carica emozionale, che sia di segno positivo o di segno negativo. Infatti, abbiamo definito l'attivazione come un fattore prettamente emotivo, dunque se si presuppone che il rituale debba andare ad agire sul livello di attivazione, esso non può che essere impregnato di un significato emotivo per l'atleta.

Il rituale deve essere costruito, allenato e studiato dall'atleta.
Se il rituale è incentrato sull'atleta ed è emotivamente significativo per lui, sembra ovvio che non c'è miglior modo di costruire un rito, che farlo concepire all'atleta. Solo l'atleta conosce precisamente il susseguirsi delle proprie azioni prima della performance, ma soprattutto egli è l'unico portatore dell'insieme di significati emotivi che accompagnano tali azioni. I maggiori esperti nella costruzione dei riti, dunque, siamo noi stessi. Certo che l'insieme delle azioni che portano alla performance necessita di essere analizzato attentamente; una piena consapevolezza, e un buon allenamento, consentono, sicuramente un rituale più modellato sui contorni dell'atleta.

Il rituale è unico per ogni atleta o per ogni squadra.
Data l'estrema soggettività della semantica emozionale, e gestuale, è pressocchè impossibile che un rituale di un soggetto sia identico nella forma e nei significati a quello di un altro. Come abbiamo appena osservato il vissuto emozionale relativo al rito è soggettivo come lo sono i suoi significati, dunque non vi può essere uguaglianza con altri individui.

Il rituale deve essere relativo al livello di attivazione ottimale per la gara.
Date le premesse si può immaginare facilmente che, sopratutto in discipline open skill, il soggetto deve mutare frequentemente il proprio livello di attivazione, e come abbiamo visto necessita spesso di rituali. Non si può credere di poter utilizzare un rituale per tutti i livelli di attivazione, ma ogni rituale è specifico per l'obiettivo per il quale lo si costruisce. Non si può immaginare che nel pre-gara di una partita di calcio si utilizzi lo stesso rituale utilizzato per abbassare il livello di attivazione prima di un calcio di rigore; ne si può pensare il contrario.


Queste cinque norme, come si è potuto notare, derivano una dall'altra, dunque sono tutte ugualmente importanti nella definizione del rituale d'attivazione.