Come ragionano i bambini.
Ben il 49% dei bambini dai 6 ai 10 anni e il 10,3% di quelli della classe da 3 a 5 anni giocano a calcio con continuità (Istat 2002). Questi dati stanno ad indicare che all’inizio della scuola elementare i bambini scelgono in larga parte di praticare questo sport. E’ quindi una grande responsabilità quella degli operatori sportivi che lavorano nel calcio, poiché circa la metà dei bambini italiani s’iscrivono a una delle loro scuole.
Il calcio richiede ai bambini un particolare impegno cognitivo e necessita della capacità di comprendere il punto di vista dell’altro. Infatti, il processo di anticipazione motoria si basa proprio sull’abilità di saper prevedere ciò che il nostro avversario sta per fare e i bambini di questa età hanno difficoltà ad assumere questo punto di vista. D’altra parte, l’uso di questa abilità è necessario in uno sport di squadra che coinvolge molti giocatori che devono agire insieme, servendosi di una strategia comune di risposta alle azioni degli avversari.
Le difficoltà dei bambini sino agli 8 anni sono evidenti a qualsiasi osservatore a bordo campo, quando li si vede inseguire tutti la palla, scordandosi invece i ruoli che gli erano stati attribuiti in precedenza. Le ricerche hanno confermato che l’abilità di comprendere la prospettiva altrui si afferma in maniera completa tra gli 8 e i 10 anni. In relazione a questa competenza, una possibile ragione di abbandono dall’attività calcistica si presenta nei casi in cui gli allenatori e i genitori si aspettano dai bambini più di quanto gli è consentito dal loro sviluppo cognitivo. In questo tipo di situazioni i bambini possono sperimentare una notevole frustrazione e sentirsi non apprezzati e capiti dagli adulti, che richiedono loro di svolgere dei compiti superiori alle loro capacità attuali. In alternativa, genitori e allenatori non dovrebbero preoccuparsi se i bambini si comportano come le api che corrono tutte dietro il miele ma dovrebbero stimolare l’entusiasmo dei bambini e il piacere che traggono dal movimento.
Un altro aspetto cognitivo importante riguarda la comprensione, da parte dei bambini, delle cause dei risultati delle azioni. In altre parole a cosa attribuiscono, ad esempio, il prevalere di una squadra sull’altra oppure a cosa attribuiscono la maggiore competenza di un compagno rispetto agli altri? Da adulti siamo consapevoli che successi/insuccessi possono derivare da più aspetti diversi (ad esempio, l’impegno, la fortuna, l’abilità personale, la difficoltà dei compiti da svolgere o la competenza degli altri) ma per i bambini questo pensiero rappresenta un punto di arrivo che in prima e seconda elementare non possiedono. La ricerca ha evidenziato che sino a 10-12 anni i giovani non sanno distinguere con esattezza fra questi diversi fattori quelli che in una singola prestazione hanno determinato il successo della loro squadra o la qualità della loro prestazione.
Infatti, inizialmente i bambini sono attratti essenzialmente dall’eccitazione che trasmette la pratica sportiva e solo in seguito sviluppano una concezione più complessa del gioco. A questo riguardo basta pensare che già a partire dall’età di 5 anni i bambini iniziano a confrontare le loro abilità con quelle dei compagni ma che sin quasi all’adolescenza è molto scarsa la correlazione fra la percezione dei bambini delle loro competenze e la valutazione delle loro reali capacità eseguita dagli allenatori.
Il ruolo degli adulti
Gli adulti svolgono pertanto un ruolo fondamentale nel mantenere costante l’interesse dei bambini verso il gioco del calcio. Come in ogni altra situazione nuova, la fase d’inizio dell’attività è importante perché rivela come sarà l’organizzazione futura. Quindi, l’attività deve essere tale da coinvolgere in maniera intensa i bambini, così da soddisfare il loro desiderio di movimento, di divertimento, di varietà e di stare insieme ad altri coetanei. Non bisogna annoiarli con spiegazioni troppo lunghe su quello che è consentito fare e su ciò che va evitato. Devono esssere fornite poche regole semplici, specifiche ed espresse in maniera diretta e che vanno fatte rispettare con fermezza e in maniera pacata.
In questa fascia di età i bambini tendono a considerare l’abilità sportiva come risultato dell’impegno e spesso i bambini non s’impegnano perché sanno di non saper fare. Per tutti gli adulti che sono a contatto con questi giovanissimi calciatori è importante che, per prima cosa, rinforzino il loro impegno. Questo anche perché la maggior parte dei bambini è entusiasta di giocare con altri compagni e ha piacere di correre dietro la palla, questa passione per il gioco va sostenuta e va apprezzata. In questo clima positivo anche i bambini più insicuri e meno aperti tendono ad acquisire fiducia nell’istruttore, vogliono imitare gli altri compagni più estroversi che si divertono sicuramente di più e sanno che non verranno rinmproverati per un errore tecnico. Quindi possono provarci anche loro, alcuni lo faranno più timidamente prendendo delle iniziative in maniera graduale mentre altri, invece, potranno dare l’impressione di essere esplosi e di non saper regolare questa loro energia fisica, che un po’ per volta impareranno a controllare. In questo contesto l’allenatore dovrà premiare i miglioramenti, fare le opportune correzioni tecniche e rinforzare l’impegno, mentre le altre figure adulte dall’accompagnatore ai genitori dovranno essenzialmente sostenere con il loro appoggio emotivo l’impegno dei bambini. Non dovranno invece entrare nel merito dei fatti tecnici, ma trasmettere ai loro figli che sono contenti perché si divertono, perché giocano su un prato all’aria aperta, perché conoscono nuovi amici. Viceversa dovranno preoccuparsi se i loro figli non si divertono o se non hanno voglia di tornare la prossima volta. Soprattutto da bordo campo non dovranno soffermarsi ad osservare se il loro figlio sbaglia o fa giusto, ma se interagisce con gli amici, se ascolta l’istruttore quando parla, se mostra energia e corre, se si isola o sta in mezzo agli altri e così via.
E’ abituale che nelle società sportive i genitori partecipino alla vita di queste organizzazione, spesso alcuni ricoprono il ruolo di accompagnatori. Questo ruolo dovrebbe permettere una migliore conoscenza degli stessi bambini e tra il gruppo dei genitori e l’istruttore. Quindi l’accompagnatore, stando più a contatto con i bambini rispetto agli altri genitori, dovrebbe essere un persona in grado di percepire gli umori del gruppo e dei singoli, dovrebbe far rispettare le regole al di fuori dal campo di gioco, dovrebbe essere una persona che trasmette buon umore ed entusiasmo. L’accompagnatore non deve essere una persona di buona volontà che si presta solo a fare da autista, in quella funzione svolge un ruolo di educatore e come tale deve comportarsi. Pertanto, la società sportiva deve dire in maniera esplicita cosa si aspetta da chi ricopre questo ruolo e che cosa non dovrà fare, ad esempio, intervenire sugli aspetti tecnici dell’attività che sono di competenza dell’allenatore.
Trattandosi di bambini relativamente piccoli (6-7 anni) e che magari per la prima volta svolgono un’attività al di fuori di quella scolastica o di quelle effettuate con i genitori, vi sono degli aspetti della vita sportiva che richiedono maggiore attenzione rispetto ai giovani di età superiore. Ad esempio, nello spogliatoio devono stare tutti insieme da soli, oppure solo con l’istruttore oppure con i genitori? La questione è collegata al loro livello di autonomia personale (il disordine incredibile che si crea se un gruppo numeroso di bambini si spoglia per rivestirsi, oppure la doccia la devono fare da soli o assistiti da qualche adulto?). Abitualmente i bambini di questa età non stanno da soli: nelle scuole elementari i bambini mangiano con la presenza delle maestre. Negli spogliatoi ci dovrebbero stare i genitori con l’obiettivo d’insegnar loro a vestirsi rapidamente a fare la doccia e rimettere la tenuta sportiva nella borsa. Se questo non è possibile, la soluzione potrebbe essere quella di avere l’istruttore che segue inizialmente i bambini e 2/3 genitori che lo assistono, ad esempio per asciugare i capelli o per altre evenienza. Questo servirebbe anche a rassicurare i genitori che lo spogliatoio è un ambiente sano. L’obiettivo da raggiungere resta comunque quello di giungere a lasciare i bambini da soli.
Infine voglio lasciare un ultimo spazio per le bambine, sono ancora pochissime nel nostro paese, mentre in altri sono milioni. Come fare per avvicinarle al calcio, forse per cominciare basterebbe parlarne nelle scuole e ai genitori dei figli maschi che giocano a calcio.
Non sono certamente le bambine a non voler giocare a calcio, sono gli adulti che non lo permettono.
Il calcio richiede ai bambini un particolare impegno cognitivo e necessita della capacità di comprendere il punto di vista dell’altro. Infatti, il processo di anticipazione motoria si basa proprio sull’abilità di saper prevedere ciò che il nostro avversario sta per fare e i bambini di questa età hanno difficoltà ad assumere questo punto di vista. D’altra parte, l’uso di questa abilità è necessario in uno sport di squadra che coinvolge molti giocatori che devono agire insieme, servendosi di una strategia comune di risposta alle azioni degli avversari.
Le difficoltà dei bambini sino agli 8 anni sono evidenti a qualsiasi osservatore a bordo campo, quando li si vede inseguire tutti la palla, scordandosi invece i ruoli che gli erano stati attribuiti in precedenza. Le ricerche hanno confermato che l’abilità di comprendere la prospettiva altrui si afferma in maniera completa tra gli 8 e i 10 anni. In relazione a questa competenza, una possibile ragione di abbandono dall’attività calcistica si presenta nei casi in cui gli allenatori e i genitori si aspettano dai bambini più di quanto gli è consentito dal loro sviluppo cognitivo. In questo tipo di situazioni i bambini possono sperimentare una notevole frustrazione e sentirsi non apprezzati e capiti dagli adulti, che richiedono loro di svolgere dei compiti superiori alle loro capacità attuali. In alternativa, genitori e allenatori non dovrebbero preoccuparsi se i bambini si comportano come le api che corrono tutte dietro il miele ma dovrebbero stimolare l’entusiasmo dei bambini e il piacere che traggono dal movimento.
Un altro aspetto cognitivo importante riguarda la comprensione, da parte dei bambini, delle cause dei risultati delle azioni. In altre parole a cosa attribuiscono, ad esempio, il prevalere di una squadra sull’altra oppure a cosa attribuiscono la maggiore competenza di un compagno rispetto agli altri? Da adulti siamo consapevoli che successi/insuccessi possono derivare da più aspetti diversi (ad esempio, l’impegno, la fortuna, l’abilità personale, la difficoltà dei compiti da svolgere o la competenza degli altri) ma per i bambini questo pensiero rappresenta un punto di arrivo che in prima e seconda elementare non possiedono. La ricerca ha evidenziato che sino a 10-12 anni i giovani non sanno distinguere con esattezza fra questi diversi fattori quelli che in una singola prestazione hanno determinato il successo della loro squadra o la qualità della loro prestazione.
Infatti, inizialmente i bambini sono attratti essenzialmente dall’eccitazione che trasmette la pratica sportiva e solo in seguito sviluppano una concezione più complessa del gioco. A questo riguardo basta pensare che già a partire dall’età di 5 anni i bambini iniziano a confrontare le loro abilità con quelle dei compagni ma che sin quasi all’adolescenza è molto scarsa la correlazione fra la percezione dei bambini delle loro competenze e la valutazione delle loro reali capacità eseguita dagli allenatori.
Il ruolo degli adulti
Gli adulti svolgono pertanto un ruolo fondamentale nel mantenere costante l’interesse dei bambini verso il gioco del calcio. Come in ogni altra situazione nuova, la fase d’inizio dell’attività è importante perché rivela come sarà l’organizzazione futura. Quindi, l’attività deve essere tale da coinvolgere in maniera intensa i bambini, così da soddisfare il loro desiderio di movimento, di divertimento, di varietà e di stare insieme ad altri coetanei. Non bisogna annoiarli con spiegazioni troppo lunghe su quello che è consentito fare e su ciò che va evitato. Devono esssere fornite poche regole semplici, specifiche ed espresse in maniera diretta e che vanno fatte rispettare con fermezza e in maniera pacata.
In questa fascia di età i bambini tendono a considerare l’abilità sportiva come risultato dell’impegno e spesso i bambini non s’impegnano perché sanno di non saper fare. Per tutti gli adulti che sono a contatto con questi giovanissimi calciatori è importante che, per prima cosa, rinforzino il loro impegno. Questo anche perché la maggior parte dei bambini è entusiasta di giocare con altri compagni e ha piacere di correre dietro la palla, questa passione per il gioco va sostenuta e va apprezzata. In questo clima positivo anche i bambini più insicuri e meno aperti tendono ad acquisire fiducia nell’istruttore, vogliono imitare gli altri compagni più estroversi che si divertono sicuramente di più e sanno che non verranno rinmproverati per un errore tecnico. Quindi possono provarci anche loro, alcuni lo faranno più timidamente prendendo delle iniziative in maniera graduale mentre altri, invece, potranno dare l’impressione di essere esplosi e di non saper regolare questa loro energia fisica, che un po’ per volta impareranno a controllare. In questo contesto l’allenatore dovrà premiare i miglioramenti, fare le opportune correzioni tecniche e rinforzare l’impegno, mentre le altre figure adulte dall’accompagnatore ai genitori dovranno essenzialmente sostenere con il loro appoggio emotivo l’impegno dei bambini. Non dovranno invece entrare nel merito dei fatti tecnici, ma trasmettere ai loro figli che sono contenti perché si divertono, perché giocano su un prato all’aria aperta, perché conoscono nuovi amici. Viceversa dovranno preoccuparsi se i loro figli non si divertono o se non hanno voglia di tornare la prossima volta. Soprattutto da bordo campo non dovranno soffermarsi ad osservare se il loro figlio sbaglia o fa giusto, ma se interagisce con gli amici, se ascolta l’istruttore quando parla, se mostra energia e corre, se si isola o sta in mezzo agli altri e così via.
E’ abituale che nelle società sportive i genitori partecipino alla vita di queste organizzazione, spesso alcuni ricoprono il ruolo di accompagnatori. Questo ruolo dovrebbe permettere una migliore conoscenza degli stessi bambini e tra il gruppo dei genitori e l’istruttore. Quindi l’accompagnatore, stando più a contatto con i bambini rispetto agli altri genitori, dovrebbe essere un persona in grado di percepire gli umori del gruppo e dei singoli, dovrebbe far rispettare le regole al di fuori dal campo di gioco, dovrebbe essere una persona che trasmette buon umore ed entusiasmo. L’accompagnatore non deve essere una persona di buona volontà che si presta solo a fare da autista, in quella funzione svolge un ruolo di educatore e come tale deve comportarsi. Pertanto, la società sportiva deve dire in maniera esplicita cosa si aspetta da chi ricopre questo ruolo e che cosa non dovrà fare, ad esempio, intervenire sugli aspetti tecnici dell’attività che sono di competenza dell’allenatore.
Trattandosi di bambini relativamente piccoli (6-7 anni) e che magari per la prima volta svolgono un’attività al di fuori di quella scolastica o di quelle effettuate con i genitori, vi sono degli aspetti della vita sportiva che richiedono maggiore attenzione rispetto ai giovani di età superiore. Ad esempio, nello spogliatoio devono stare tutti insieme da soli, oppure solo con l’istruttore oppure con i genitori? La questione è collegata al loro livello di autonomia personale (il disordine incredibile che si crea se un gruppo numeroso di bambini si spoglia per rivestirsi, oppure la doccia la devono fare da soli o assistiti da qualche adulto?). Abitualmente i bambini di questa età non stanno da soli: nelle scuole elementari i bambini mangiano con la presenza delle maestre. Negli spogliatoi ci dovrebbero stare i genitori con l’obiettivo d’insegnar loro a vestirsi rapidamente a fare la doccia e rimettere la tenuta sportiva nella borsa. Se questo non è possibile, la soluzione potrebbe essere quella di avere l’istruttore che segue inizialmente i bambini e 2/3 genitori che lo assistono, ad esempio per asciugare i capelli o per altre evenienza. Questo servirebbe anche a rassicurare i genitori che lo spogliatoio è un ambiente sano. L’obiettivo da raggiungere resta comunque quello di giungere a lasciare i bambini da soli.
Infine voglio lasciare un ultimo spazio per le bambine, sono ancora pochissime nel nostro paese, mentre in altri sono milioni. Come fare per avvicinarle al calcio, forse per cominciare basterebbe parlarne nelle scuole e ai genitori dei figli maschi che giocano a calcio.
Non sono certamente le bambine a non voler giocare a calcio, sono gli adulti che non lo permettono.