La preparazione psicologica del calciatore.
Motivazione, visualizzazione, feedback, sono termini
che fino a qualche anno fa non erano utilizzati dai
tecnici di calcio, ma che nel corso degli ultimi anni
sono diventati parte integrante del bagaglio tecnico
di ogni allenatore di calcio.
Cercheremo di spiegare come, quando e perché l’allenatore dovrà inserire nel proprio programma di allenamento non solo esercizi tecnici, atletici e tattici, ma anche l’allenamento mentale, per riuscire a tirare fuori dai propri atleti tutto il loro potenziale.
Prenderemo in esame le più conosciute tecniche di rilassamento, e le modalità migliori per motivare i propri giocatori.
Cercheremo anche di spiegare come far fronte ai sempre più numerosi fattori di stress, per far sì che i nostri atleti possano vivere la loro vita sportiva, non considerandola alla stregua di un lavoro, ma per quello che realmente è: un gioco.
La motivazione
Non esistono persone pigre, non motivate, esistono solo persone che hanno obiettivi deboli che non suscitano emozioni forti. La motivazione è senz’altro uno degli elementi più importanti quando si va a preparare un piano di allenamento, per qualunque livello di prestazione.
Ma cosa significa realmente motivazione?
Addentrandoci nel fenomeno legato alla motivazione ci troviamo in uno spazio molto complesso, spesso è difficile capirne l’incidenza sul comportamento di un individuo.
Una forte motivazione è strettamente correlata ad una forte monoidea, che si traduce in una grande volontà nella ricerca del raggiungimento di un obiettivo che possa appagare dei nostri bisogni. Vari autori hanno espresso alcune ipotesi.
Secondo Salvini per motivazione si indica in psicologia "l’agente fisiologico, emotivo e cognitivo che organizza il comportamento individuale verso uno scopo." Per Bertolini la motivazione è "ciò che sollecita l’individuo ad assumere ogni suo atteggiamento ed a mettere in atto ogni suo comportamento." Secondo Singer la motivazione "influisce su ciò che facciamo, (quando vi è la possibilità di scelta) su quanto tempo ci mettiamo e su come lo facciamo." Thomas riporta le motivazioni a quattro desideri fondamentali:
La gerarchia dei bisogni di Maslow riporta le motivazioni a bisogni fondamentali distinguendoli in:
L'automotivazione
In allenamento parecchi atleti fanno buoni risultati. Ma quando sono in gara accade che questi registrino un brusco calo di rendimento e non riescano a dare il meglio di sé incolpano la dieta, o il metodo di preparazione, o l’eccesso di caldo o di freddo, oppure dicono "mi ha messo in ginocchio la solita crisi". Spesso, invece, non si tratta di niente di tutto questo, bensì del fatto che questi atleti hanno lavorato con regolarità ed impegno sul piano fisico, ma hanno del tutto trascurato di addestrare la mente a vincere, sottovalutando il ruolo fondamentale della psiche. Da qualche tempo, invece, è ormai chiaro che nello sport ogni traguardo, qualunque vittoria è frutto di due fattori: energia fisica e potenza mentale. Come dire: accanto al training muscolare occorre esercitare anche la mente al successo.
Da dove cominciare? Una strada vincente può essere quella dell’ automotivazione: un distillato di pensiero orientale e occidentale che, aumentando la fiducia e la stima in sé stesi, rimuove blocchi psicologici e cicatrici mentali, spesso le autentiche cause di tante prestazioni di modesto livello.
L’automotivazione serve a tutti, però uno dei settori dove l’automotivazione sta fornendo ottimi risultati è proprio quello dello sport e del calcio in particolare: quando abbiamo una partita da disputare, sia essa la finale dei campionati del mondo o un incontro di terza categoria non bisogna avere la sola preoccupazione di allenare per ore ed ore solo il fisico. Se si ha davvero il desiderio di raggiungere importanti traguardi, è necessario non trascurare lo sviluppo della psiche, esercizio questo attraverso cui si possono scoprire insospettate energie per credere nelle proprie capacità.
Le mete ambiziose richiedono una crescita dentro, non solo nelle masse muscolari o nell’efficienza respiratoria. Quando le risorse interiori si mescolano magicamente agli stimoli esterni, l’atleta ingrana una marcia in più e gli diventa più facile raggiungere nuovi record personali, obiettivi fino ad allora ritenuti impossibili.
Prima regola: pensate positivo
Ma in cosa consiste, in pratica, l’automotivazione? Il metodo è un mosaico di esercizi e tecniche basato sulla visualizzazione, in altre parole, sul potere delle immagini mentali evocate dall’ inconscio, in grado di mettere in luce le forze psicologiche nascoste e, per questa via, restituire entusiasmo e fiducia, rimuovere le influenze negative, tirare fuori il meglio da ciascuno. Lo sforzo più grande consiste nel far pratica ed esperienza di nuovi modi di pensare, grazie ai quali è possibile cambiare in positivo l’immagine del proprio io. Per prima cosa bisogna imparare a neutralizzare i pensieri negativi. Un pensiero negativo è come una fattura di magia nera: fa perdere forza, energia, vitalità. Un calciatore che scende in campo con in testa il dubbio di non avere i numeri per vincere, ha già perso in partenza. Per vincere la partita è necessario provare a pensare in positivo: ossia, vedersi vincitori.
Poiché ci vuole un chiaro disegno mentale della partita prima di poterla vivere con successo, il trucco consiste nell’esercitarsi a rivederla più e più volte con l’immaginazione. A ricrearla nei più minuti dettagli in quel laboratorio che è la mente, fino a conoscere perfettamente come comportarsi quando si sarà impegnati sul campo.
Il nostro atleta nella settimana precedente la gara dovrà provare per dieci minuti al giorno a ripetere mentalmente la azioni che dovrà svolgere sul campo. Si "vedrà" nella sua posizione in campo, "sentirà" il contatto con la palla nel momento di calciare, "avvertirà" il momento di scattare. Perché funziona? Il fatto è che cervello, sistema nervoso e massa muscolare funzionano come un servo meccanismo cioè nella stessa maniera di una macchina automatica volta ad un fine. Date al cervello uno scopo ed il resto verrà da sé. Quando la mente "vede" con chiarezza ciò che si vuole fare, comincerà a funzionare eseguendo il lavoro molto meglio di quanto non ci sia modo di ottenere per mezzo dei soli mezzi fisici. Il fatto che l’automotivazione sia un metodo che funziona, non è pura teoria. Un esperimento, ad esempio, è stato condotto allo scopo di verificare l’efficacia dell’esercizio mentale nel raggiungere una maggiore abilità nella pallacanestro senza effettuare tiri reali. Per un mese, tre squadre di basket furono guidate in modo diverso. Una continuò ad allenarsi come sempre; la seconda smise del tutto il training, mentre la terza sostituì l’allenamento sul campo con il training mentale, immaginando di tirare a canestro e di correggere la mira secondo gli errori commessi.
Alla fine del mese, le performance sportive della prima squadra non avevano subito flessioni, mentre la seconda aveva conseguito risultati assai più modesti rispetto a quando si allenava di solito.
Un’azione pensata è come se fosse realizzata. Il cervello non riesce a stabilire la differenza tra un’esperienza reale e una immaginata con grande intensità e nei minimi particolari.
Ad ogni modo non devono esserci malintesi: la visualizzazione non sostituisce l’allenamento. È un’utile integrazione nei giorni precedenti la gara e un sostituto temporaneo dell’allenamento nel caso di malattia, infortunio o lunghi trasferimenti.
Ma l’automotivazione ha bisogno di altro ancora. Così sempre attraverso la visualizzazione, ossia le immagini mentali, prevede esercizi di rilassamento e di respirazione. Quest’ultimi servono a caricare di energia i muscoli più impegnati nello sforzo durante la gara, mentre il relax fisico aiuta ad "incassare" con più disinvoltura i colpi emotivi.
Parecchi atleti pensano che rilassarsi sia negativo perché temono di non avere più la grinta necessaria per affrontare la gara. È sbagliato: un animale, prima dell’attacco è rilassato, un atleta teso e nervoso pompa adrenalina in ogni direzione con grande dispendio di energie. Al contrario, chi è rilassato e disteso pompa adrenalina dove serve, e riesce a concentrare l’energia solo nei muscoli sotto pressione.
La gestione dell'energia fisica e mentale
Una delle questioni più rilevanti in psicologia dello sport è la gestione dell’arousal dell’atleta.
Con il termine arousal è indicata in psicofisiologia l’intensità dell’attivazione fisiologica e comportamentale dell’ organismo: quando l’organismo deve effettuare una prestazione deve attivarsi, cioè mettere in moto una serie di processi caratteristici dello stato di arousal, essi sono:
Lo stato di stress si verifica quando gli atleti intuiscono che c’è uno squilibrio tra quello che è chiesto loro di fare (sfida) e quello che invece essi sentono di essere capaci di fare(livello di abilità). Anche l’allenatore è sottoposto a stress ed essere iper o ipo-attivato come i suoi atleti; si renderà quindi necessario adottare delle strategie per abbassare o incrementare anche il livello di attivazione del coach per permettergli una direzione accurata ed equilibrata durante la gara.
Lo stato di flow è il livello ottimale dell’energia psichica associato ad un adeguato livello di stress (il cosidetto eustress o stress positivo); il flow è caratterizzato da un arousal (attivazione) funzionale al raggiungimento dell’obiettivo sportivo. Nello stato di flow l’attenzione è orientata sul compito, l’atleta non è disturbato dai propri pensieri poiché è completamente assorbito dalla sua attività, e, infine, l’atleta sente di controllare le proprie azioni.
Nel calcio, sport in cui le circostanze evolvono in maniera imprevedibile, vi è l’esigenza di variare il grado di arousal conformemente ai mutamenti situazionali.
Un BASSO LIVELLO di AROUSAL è necessario:
prima di praticare una tecnica di visualizzazione (il giorno prima della partita e nello spogliatoio mezz’ora prima del fischio dell’arbitro); quando risulta fondamentale un’ampia analisi percettiva per decidere e reagire in modo rapido (quando si osservano gli spostamenti degli avversari, vale a dire nella maggior parte del tempo dei novanta minuti); quando si deve eseguire un gesto tecnico accurato (ad esempio prima di un calcio piazzato o durante la messa a punto di una strategia di gara).
Un MODERATO LIVELLO di AROUSAL è necessario:
quando il calciatore si prepara ad un calcio di rigore (compito di elevato impegno, alto dispendio energetico, coordinazione fine dei movimenti e straregie complesse di percezione e decisione, uno stato di eccitazione eccessivo comprometterebbe la performance); nella durata del tempo della partita le migliori prestazioni si hanno con un moderato livello di ansia.
Un ALTO LIVELLO di AROUSAL:
può anche essere tollerato nelle attività più semplici e di minore precisione motoria (come nel passaggio da una meta campo ad un’altra durante un’azione di contropiede avversario); può essere trasformato a proprio vantaggio da percezioni negative di ansia e rabbia ad eccitazione positiva e piacevole.
I segnali tipici di una IPER-ATTIVAZIONE sono:
I segnali che caratterizzano una IPO-ATTIVAZIONE sono:
Lo stress fisico e la sua gestione
La natura ha predisposto nell ’ uomo un complesso ed efficiente sistema automatico di difesa, capace di entrare in funzione allorché avverte una minaccia improvvisa.
Una volta percepito il pericolo, il cervello trasmette un segnale all’ ipotalamo, sede delle reazioni emotive ed ormonali. Le ghiandole surrenali a loro volta così avvisate liberano una trentina di potenti ormoni (adrenalina,cortisone ecc.) che scuotono, in pochi secondi, l’intero corpo preparandolo così nel migliore dei modi a rispondere all’ attacco attraverso: la fuga o la difesa.
La stessa ansia è una delle manifestazioni di questo stato d’emergenza e pericolo.
Molti sono i mutamenti biochimici e i sintomi neurovegetativi scatenati da questo stato stressante: la tachicardia, l’ ipertensione, il sudore, il pallore e l’affanno, a causa della superattività delle ghiandole surrenali.
I disordini psicoemotivi si possono tramutare in sintomi comportamentali, quali fobie, ipocondria,ossessioni.
L’ uomo primitivo reagiva con lo stress di fronte ad una bestia feroce, oggi l’ uomo moderno reagisce nel medesimo modo a causa di un probabile licenziamento, oppure per un divorzio imminente ecc. .
Comunque solo l’ iperstress è dannoso all’ organismo, a dosi moderate è invece una valenza positiva e favorevole perché potenzia la vis medicatrix naturae.
"Un po’ di stress non fa male anzi provoca nel nostro organismo reazioni benefiche in determinate circostanze" (prof. G. Ballarini Università di Parma, ottobre 1985)
Essere sotto stress è generalmente inteso come subire un aggressione oltre misura e quindi trovarsi almeno in una situazione di disagio. Il termine di stress si è caricato, nel linguaggio comune, solo ed esclusivamente dei suoi effetti negativi.
Un certo grado di stress è invece un fenomeno positivo, almeno in determinate condizioni, e può presentare aspetti vantaggiosi.
Per stress si intende qualsiasi evento fisico o psicologico che modifica l’equilibrio organico.
Lo stress è anche la risposta dell’ individuo a qualsiasi novità, alla quale si deve adattare. Le cause di stress sono denominate stressor e sono le più varie: nel nostro campo un cattivo andamento dei risultati, un cattivo rapporto con l’ ambiente (società, allenatore, compagni, tifosi), mancato ambientamento nella città, eccessive aspettative, e cosi via.
Di fronte ad una amplissima varietà di stressor, l’ organismo risponde in modo abbastanza uniforme, secondo schemi che sono governati dagli ormoni ed dal sistema nervoso, e quindi abbastanza ben prestabiliti.Vi sono ovviamente diversità di razza, di specie e individuali.
La risposta è di solito caratterizzata da una preparazione dell’ organismo, da una specie di carica, che serve ad affrontare l’ emergenza, piccola o grande che sia.Per questo, soprattutto nell’ uomo, un normale stato di stress è favorevole, dato che il nostro comportamento viene ad avere la sua massima efficacia e porta alle maggiori soddisfazioni nell’ affrontare problemi e situazioni nuove.
Senza le novità e senza la conseguente carica, gli uomini sarebbero apatici e senza stimolo a progredire. Hans Selye, il padre delle ricerche sullo stress ed il primo ad usare questo termine negli anni trenta,disse che lo stress è il sale della vita .Nelle discipline a prevalente determinazione tattica, gli atleti devono mettere in atto più abilità nello stesso istante. Ne possono derivare affaticamento mentale, causa, se intenso e prolungato, di stress, non dipendente dalla qualità degli stimoli, bensi dall’ intensità del bisogno di adattamento che essi attivano. Lo stress si correla con caratteristiche individuali dell’ atleta: un’elevata ansia di tratto competitiva, unita a bassa autostima e scarsa motivazione intrinseca possono avere risvolti negativi. Lo stress troppo intenso e prolungato provoca burnout, causa di danni psicofisici e comportamentali. L’interesse dei più recenti studi di psicologia si è spostato dallo studio della prestazione, della personalità all’ applicazione di tecniche mirate al miglioramento della prestazione sportiva.
Nello sport lo stress è dipendente dalla percezione che l’ atleta ha della situazione, della gara, dipende dal modo in cui l’atleta vive questa situazione.
Non sarà dunque la partita a provocare lo stress, ma la percezione che l’atleta ha della partita. Dalla percezione della partita possiamo avere differenti reazioni, la stessa partita può suscitare in alcuni giocatori sensazioni di stress, in altri di eccitazione. Partendo da questo presupposto, vedremo:
Fattori di stress
Individuali
Programmazione di obiettivi a breve(affrontare una partita alla volta), medio (aggiudicarsi il girone di andata) e a lungo termine( vincere il campionato). La prestazione aumenta quando gli obiettivi sono moderatamente difficili per tre motivi:
I segni dello stress:
Training autogeno (TA)
Il training autogeno si basa principalmente sull’ allenamento graduale alla distensione e sulla deconcentrazione progressiva muscolare.
Assai efficace come tecnica anti stress il TA, fatto regolarmente e seriamente, permette di ridurre la tensione, di risparmiare e recuperare le energie migliorando cosi’ l’efficienza fisica e mentale.
Descrizione della tecnica.
Condizioni preliminari: ambiente più possibile tranquillo, luce bassa,temperatura equilibrata, abbigliamento comodo. La metodica del dott. Schultz è stata divisa da numerosi autori in tre fasi:
Conclusioni
Nel corso degli anni il ruolo dell’ allenatore è profondamente mutato e la gestione di una squadra di calcio è diventata una questione estremamente complessa ed articolata.
Non si tratta, infatti, di preparare semplicemente gli atleti esclusivamente da un punto di vista tecnico e tattico, ma di intervenire su fattori motivazionali e fornire strumenti per aiutarli a fronteggiare le situazioni di stress che si possono presentare nel corso della loro carriera agonistica.
Non vogliamo con questo trasformare l’allenatore in psicologo, ma riteniamo necessario unire a una conoscenza tecnica del calcio una sensibilizzazione alle problematiche presentate in questo lavoro.
Pertanto, come già esposto in precedenza l’allenatore potrà aiutare l’atleta nelle situazioni di stress, senza per questo doverle risolvere al posto suo, in modo da formare giocatori che siano in grado di risolvere situazioni complesse in maniera indipendente.
Cercheremo di spiegare come, quando e perché l’allenatore dovrà inserire nel proprio programma di allenamento non solo esercizi tecnici, atletici e tattici, ma anche l’allenamento mentale, per riuscire a tirare fuori dai propri atleti tutto il loro potenziale.
Prenderemo in esame le più conosciute tecniche di rilassamento, e le modalità migliori per motivare i propri giocatori.
Cercheremo anche di spiegare come far fronte ai sempre più numerosi fattori di stress, per far sì che i nostri atleti possano vivere la loro vita sportiva, non considerandola alla stregua di un lavoro, ma per quello che realmente è: un gioco.
La motivazione
Non esistono persone pigre, non motivate, esistono solo persone che hanno obiettivi deboli che non suscitano emozioni forti. La motivazione è senz’altro uno degli elementi più importanti quando si va a preparare un piano di allenamento, per qualunque livello di prestazione.
Ma cosa significa realmente motivazione?
Addentrandoci nel fenomeno legato alla motivazione ci troviamo in uno spazio molto complesso, spesso è difficile capirne l’incidenza sul comportamento di un individuo.
Una forte motivazione è strettamente correlata ad una forte monoidea, che si traduce in una grande volontà nella ricerca del raggiungimento di un obiettivo che possa appagare dei nostri bisogni. Vari autori hanno espresso alcune ipotesi.
Secondo Salvini per motivazione si indica in psicologia "l’agente fisiologico, emotivo e cognitivo che organizza il comportamento individuale verso uno scopo." Per Bertolini la motivazione è "ciò che sollecita l’individuo ad assumere ogni suo atteggiamento ed a mettere in atto ogni suo comportamento." Secondo Singer la motivazione "influisce su ciò che facciamo, (quando vi è la possibilità di scelta) su quanto tempo ci mettiamo e su come lo facciamo." Thomas riporta le motivazioni a quattro desideri fondamentali:
- Il desiderio di sicurezza
- Il desiderio di ottenere il riconoscimento delle proprie qualita
- Il desideri di ricevere risposte adeguate da parte dei propri simili
- Il desiderio di nuove esperienze.
La gerarchia dei bisogni di Maslow riporta le motivazioni a bisogni fondamentali distinguendoli in:
- AUTOREALIZZAZIONE (qualità spirituali, giustizia, bontà, bellezza)
- BISOGNI DI BASE:
- bisogni fisiologici (cibo, acqua)
- bisogni di sicurezza (protezione, mancanza di pericolo)
- bisogni di amore e di appartenenza(accettazione, essere apprezzati, affiliazione)
- bisogni di stima (autoapprezzamento, successo )
L'automotivazione
In allenamento parecchi atleti fanno buoni risultati. Ma quando sono in gara accade che questi registrino un brusco calo di rendimento e non riescano a dare il meglio di sé incolpano la dieta, o il metodo di preparazione, o l’eccesso di caldo o di freddo, oppure dicono "mi ha messo in ginocchio la solita crisi". Spesso, invece, non si tratta di niente di tutto questo, bensì del fatto che questi atleti hanno lavorato con regolarità ed impegno sul piano fisico, ma hanno del tutto trascurato di addestrare la mente a vincere, sottovalutando il ruolo fondamentale della psiche. Da qualche tempo, invece, è ormai chiaro che nello sport ogni traguardo, qualunque vittoria è frutto di due fattori: energia fisica e potenza mentale. Come dire: accanto al training muscolare occorre esercitare anche la mente al successo.
Da dove cominciare? Una strada vincente può essere quella dell’ automotivazione: un distillato di pensiero orientale e occidentale che, aumentando la fiducia e la stima in sé stesi, rimuove blocchi psicologici e cicatrici mentali, spesso le autentiche cause di tante prestazioni di modesto livello.
L’automotivazione serve a tutti, però uno dei settori dove l’automotivazione sta fornendo ottimi risultati è proprio quello dello sport e del calcio in particolare: quando abbiamo una partita da disputare, sia essa la finale dei campionati del mondo o un incontro di terza categoria non bisogna avere la sola preoccupazione di allenare per ore ed ore solo il fisico. Se si ha davvero il desiderio di raggiungere importanti traguardi, è necessario non trascurare lo sviluppo della psiche, esercizio questo attraverso cui si possono scoprire insospettate energie per credere nelle proprie capacità.
Le mete ambiziose richiedono una crescita dentro, non solo nelle masse muscolari o nell’efficienza respiratoria. Quando le risorse interiori si mescolano magicamente agli stimoli esterni, l’atleta ingrana una marcia in più e gli diventa più facile raggiungere nuovi record personali, obiettivi fino ad allora ritenuti impossibili.
Prima regola: pensate positivo
Ma in cosa consiste, in pratica, l’automotivazione? Il metodo è un mosaico di esercizi e tecniche basato sulla visualizzazione, in altre parole, sul potere delle immagini mentali evocate dall’ inconscio, in grado di mettere in luce le forze psicologiche nascoste e, per questa via, restituire entusiasmo e fiducia, rimuovere le influenze negative, tirare fuori il meglio da ciascuno. Lo sforzo più grande consiste nel far pratica ed esperienza di nuovi modi di pensare, grazie ai quali è possibile cambiare in positivo l’immagine del proprio io. Per prima cosa bisogna imparare a neutralizzare i pensieri negativi. Un pensiero negativo è come una fattura di magia nera: fa perdere forza, energia, vitalità. Un calciatore che scende in campo con in testa il dubbio di non avere i numeri per vincere, ha già perso in partenza. Per vincere la partita è necessario provare a pensare in positivo: ossia, vedersi vincitori.
Poiché ci vuole un chiaro disegno mentale della partita prima di poterla vivere con successo, il trucco consiste nell’esercitarsi a rivederla più e più volte con l’immaginazione. A ricrearla nei più minuti dettagli in quel laboratorio che è la mente, fino a conoscere perfettamente come comportarsi quando si sarà impegnati sul campo.
Il nostro atleta nella settimana precedente la gara dovrà provare per dieci minuti al giorno a ripetere mentalmente la azioni che dovrà svolgere sul campo. Si "vedrà" nella sua posizione in campo, "sentirà" il contatto con la palla nel momento di calciare, "avvertirà" il momento di scattare. Perché funziona? Il fatto è che cervello, sistema nervoso e massa muscolare funzionano come un servo meccanismo cioè nella stessa maniera di una macchina automatica volta ad un fine. Date al cervello uno scopo ed il resto verrà da sé. Quando la mente "vede" con chiarezza ciò che si vuole fare, comincerà a funzionare eseguendo il lavoro molto meglio di quanto non ci sia modo di ottenere per mezzo dei soli mezzi fisici. Il fatto che l’automotivazione sia un metodo che funziona, non è pura teoria. Un esperimento, ad esempio, è stato condotto allo scopo di verificare l’efficacia dell’esercizio mentale nel raggiungere una maggiore abilità nella pallacanestro senza effettuare tiri reali. Per un mese, tre squadre di basket furono guidate in modo diverso. Una continuò ad allenarsi come sempre; la seconda smise del tutto il training, mentre la terza sostituì l’allenamento sul campo con il training mentale, immaginando di tirare a canestro e di correggere la mira secondo gli errori commessi.
Alla fine del mese, le performance sportive della prima squadra non avevano subito flessioni, mentre la seconda aveva conseguito risultati assai più modesti rispetto a quando si allenava di solito.
Un’azione pensata è come se fosse realizzata. Il cervello non riesce a stabilire la differenza tra un’esperienza reale e una immaginata con grande intensità e nei minimi particolari.
Ad ogni modo non devono esserci malintesi: la visualizzazione non sostituisce l’allenamento. È un’utile integrazione nei giorni precedenti la gara e un sostituto temporaneo dell’allenamento nel caso di malattia, infortunio o lunghi trasferimenti.
Ma l’automotivazione ha bisogno di altro ancora. Così sempre attraverso la visualizzazione, ossia le immagini mentali, prevede esercizi di rilassamento e di respirazione. Quest’ultimi servono a caricare di energia i muscoli più impegnati nello sforzo durante la gara, mentre il relax fisico aiuta ad "incassare" con più disinvoltura i colpi emotivi.
Parecchi atleti pensano che rilassarsi sia negativo perché temono di non avere più la grinta necessaria per affrontare la gara. È sbagliato: un animale, prima dell’attacco è rilassato, un atleta teso e nervoso pompa adrenalina in ogni direzione con grande dispendio di energie. Al contrario, chi è rilassato e disteso pompa adrenalina dove serve, e riesce a concentrare l’energia solo nei muscoli sotto pressione.
La gestione dell'energia fisica e mentale
Una delle questioni più rilevanti in psicologia dello sport è la gestione dell’arousal dell’atleta.
Con il termine arousal è indicata in psicofisiologia l’intensità dell’attivazione fisiologica e comportamentale dell’ organismo: quando l’organismo deve effettuare una prestazione deve attivarsi, cioè mettere in moto una serie di processi caratteristici dello stato di arousal, essi sono:
- aumento della vigilanza e dell’attenzione (attivazione del sistema nervoso centrale)
- i muscoli si preparano allo sforzo (attivazione del sistema muscolo/scheletrico)
- cuore e polmoni si attivano per sopportare lo sforzo(sistema vegetativo/simpatico)
Lo stato di stress si verifica quando gli atleti intuiscono che c’è uno squilibrio tra quello che è chiesto loro di fare (sfida) e quello che invece essi sentono di essere capaci di fare(livello di abilità). Anche l’allenatore è sottoposto a stress ed essere iper o ipo-attivato come i suoi atleti; si renderà quindi necessario adottare delle strategie per abbassare o incrementare anche il livello di attivazione del coach per permettergli una direzione accurata ed equilibrata durante la gara.
Lo stato di flow è il livello ottimale dell’energia psichica associato ad un adeguato livello di stress (il cosidetto eustress o stress positivo); il flow è caratterizzato da un arousal (attivazione) funzionale al raggiungimento dell’obiettivo sportivo. Nello stato di flow l’attenzione è orientata sul compito, l’atleta non è disturbato dai propri pensieri poiché è completamente assorbito dalla sua attività, e, infine, l’atleta sente di controllare le proprie azioni.
Nel calcio, sport in cui le circostanze evolvono in maniera imprevedibile, vi è l’esigenza di variare il grado di arousal conformemente ai mutamenti situazionali.
Un BASSO LIVELLO di AROUSAL è necessario:
prima di praticare una tecnica di visualizzazione (il giorno prima della partita e nello spogliatoio mezz’ora prima del fischio dell’arbitro); quando risulta fondamentale un’ampia analisi percettiva per decidere e reagire in modo rapido (quando si osservano gli spostamenti degli avversari, vale a dire nella maggior parte del tempo dei novanta minuti); quando si deve eseguire un gesto tecnico accurato (ad esempio prima di un calcio piazzato o durante la messa a punto di una strategia di gara).
Un MODERATO LIVELLO di AROUSAL è necessario:
quando il calciatore si prepara ad un calcio di rigore (compito di elevato impegno, alto dispendio energetico, coordinazione fine dei movimenti e straregie complesse di percezione e decisione, uno stato di eccitazione eccessivo comprometterebbe la performance); nella durata del tempo della partita le migliori prestazioni si hanno con un moderato livello di ansia.
Un ALTO LIVELLO di AROUSAL:
può anche essere tollerato nelle attività più semplici e di minore precisione motoria (come nel passaggio da una meta campo ad un’altra durante un’azione di contropiede avversario); può essere trasformato a proprio vantaggio da percezioni negative di ansia e rabbia ad eccitazione positiva e piacevole.
I segnali tipici di una IPER-ATTIVAZIONE sono:
- ansietà
- tensione e rigidità muscolare
- aumento della frequenza cardiaca, respiro irregolare, innalzamento della pressione arteriosa
- affaticamento precoce
- scarso controllo delle proprie reazioni emotive (scatti di rabbia)
- difficoltà di concentrazione e di attenzione
- attenzione spostata sui fattori distraenti esterni (ambiente) o interni (idee negative)
- effettuare esercizi per mantenere bassa la frequenza respiratoria (respirazione profonda e regolare)
- esercizi di rilassamento muscolare (mezz’ora prima della partita o in campo durante le fasi più impegnative e stressanti)
- esercizi di focalizzazione dell’attenzione
- esercizi di deconcentrazione dei fattori distraenti
- sviluppare un atteggiamento mentale positivo.
I segnali che caratterizzano una IPO-ATTIVAZIONE sono:
- sensazione di mancanza di energia (l’atleta si sente spento, fiacco)
- scarsa concentrazione (distrazione, attimi di confusione psicologica, indecisione)
- troppa riduzione della tensione e dell’ansia (mancanza di stimoli)
- disinteresse e demotivazione
- noia e pigrizia
- scarsa valutazione del tempo e incapacità di anticipazione (l’atleta non si inserisce nell’azione, non scatta, non effettua una marcatura soddisfacente)
- sensazione psichica di impotenza (è inutile tentare, tanto non ce la faccio).
- effettuare esercizi per mantenere alta la frequenza respiratoria (respirazione rapida e frequente)
- esercizi di mobilizzazione (prima della partita)
- revisione mentale dei propri obiettivi e visualizzazione dello schieramento degli avversari (prima del fischio di inizio)
- linguaggio interno positivo
- recuperare stati emotivi positivi di esperienze passate con l’uso di tecniche di visualizzazione
Lo stress fisico e la sua gestione
La natura ha predisposto nell ’ uomo un complesso ed efficiente sistema automatico di difesa, capace di entrare in funzione allorché avverte una minaccia improvvisa.
Una volta percepito il pericolo, il cervello trasmette un segnale all’ ipotalamo, sede delle reazioni emotive ed ormonali. Le ghiandole surrenali a loro volta così avvisate liberano una trentina di potenti ormoni (adrenalina,cortisone ecc.) che scuotono, in pochi secondi, l’intero corpo preparandolo così nel migliore dei modi a rispondere all’ attacco attraverso: la fuga o la difesa.
La stessa ansia è una delle manifestazioni di questo stato d’emergenza e pericolo.
Molti sono i mutamenti biochimici e i sintomi neurovegetativi scatenati da questo stato stressante: la tachicardia, l’ ipertensione, il sudore, il pallore e l’affanno, a causa della superattività delle ghiandole surrenali.
I disordini psicoemotivi si possono tramutare in sintomi comportamentali, quali fobie, ipocondria,ossessioni.
L’ uomo primitivo reagiva con lo stress di fronte ad una bestia feroce, oggi l’ uomo moderno reagisce nel medesimo modo a causa di un probabile licenziamento, oppure per un divorzio imminente ecc. .
Comunque solo l’ iperstress è dannoso all’ organismo, a dosi moderate è invece una valenza positiva e favorevole perché potenzia la vis medicatrix naturae.
"Un po’ di stress non fa male anzi provoca nel nostro organismo reazioni benefiche in determinate circostanze" (prof. G. Ballarini Università di Parma, ottobre 1985)
Essere sotto stress è generalmente inteso come subire un aggressione oltre misura e quindi trovarsi almeno in una situazione di disagio. Il termine di stress si è caricato, nel linguaggio comune, solo ed esclusivamente dei suoi effetti negativi.
Un certo grado di stress è invece un fenomeno positivo, almeno in determinate condizioni, e può presentare aspetti vantaggiosi.
Per stress si intende qualsiasi evento fisico o psicologico che modifica l’equilibrio organico.
Lo stress è anche la risposta dell’ individuo a qualsiasi novità, alla quale si deve adattare. Le cause di stress sono denominate stressor e sono le più varie: nel nostro campo un cattivo andamento dei risultati, un cattivo rapporto con l’ ambiente (società, allenatore, compagni, tifosi), mancato ambientamento nella città, eccessive aspettative, e cosi via.
Di fronte ad una amplissima varietà di stressor, l’ organismo risponde in modo abbastanza uniforme, secondo schemi che sono governati dagli ormoni ed dal sistema nervoso, e quindi abbastanza ben prestabiliti.Vi sono ovviamente diversità di razza, di specie e individuali.
La risposta è di solito caratterizzata da una preparazione dell’ organismo, da una specie di carica, che serve ad affrontare l’ emergenza, piccola o grande che sia.Per questo, soprattutto nell’ uomo, un normale stato di stress è favorevole, dato che il nostro comportamento viene ad avere la sua massima efficacia e porta alle maggiori soddisfazioni nell’ affrontare problemi e situazioni nuove.
Senza le novità e senza la conseguente carica, gli uomini sarebbero apatici e senza stimolo a progredire. Hans Selye, il padre delle ricerche sullo stress ed il primo ad usare questo termine negli anni trenta,disse che lo stress è il sale della vita .Nelle discipline a prevalente determinazione tattica, gli atleti devono mettere in atto più abilità nello stesso istante. Ne possono derivare affaticamento mentale, causa, se intenso e prolungato, di stress, non dipendente dalla qualità degli stimoli, bensi dall’ intensità del bisogno di adattamento che essi attivano. Lo stress si correla con caratteristiche individuali dell’ atleta: un’elevata ansia di tratto competitiva, unita a bassa autostima e scarsa motivazione intrinseca possono avere risvolti negativi. Lo stress troppo intenso e prolungato provoca burnout, causa di danni psicofisici e comportamentali. L’interesse dei più recenti studi di psicologia si è spostato dallo studio della prestazione, della personalità all’ applicazione di tecniche mirate al miglioramento della prestazione sportiva.
Nello sport lo stress è dipendente dalla percezione che l’ atleta ha della situazione, della gara, dipende dal modo in cui l’atleta vive questa situazione.
Non sarà dunque la partita a provocare lo stress, ma la percezione che l’atleta ha della partita. Dalla percezione della partita possiamo avere differenti reazioni, la stessa partita può suscitare in alcuni giocatori sensazioni di stress, in altri di eccitazione. Partendo da questo presupposto, vedremo:
- cosa può generare una sensazione di stress in un atleta;
- come l’ atleta può far fronte a queste situazioni di disagio.
Fattori di stress
Individuali
- livello tecnico: implica differenti gradi di responsabiltà e quindi di richieste ambientali
- ruolo: ruolo in campo (attaccante - difensore), giocatore di ruolo (turnover, panchina) ruolo nel gruppo-squadra (es. leader, capitano)
- supporto sociale: da parte della famiglia e dello staff
- evento importante
- scarso utilizzo da parte dell’allenatore
- eccessiva pressione dei media
- noia troppi tempi morti durante ritiri ecc.
- pubblico ostile e/o invadente
- infortuni
Programmazione di obiettivi a breve(affrontare una partita alla volta), medio (aggiudicarsi il girone di andata) e a lungo termine( vincere il campionato). La prestazione aumenta quando gli obiettivi sono moderatamente difficili per tre motivi:
- Rapporto tra abilità ed obiettivo; quando un atleta valuta di non essere sufficientemente capace di raggiungerlo, difficilmente sarà motivato a impegnarsi in un attività frustante (presentarsi ad una partita senza alcuni giocatori importanti).
- Relazione tra difficoltà dell’ obiettivo e la fiducia in se stesso: la fiducia in sé stesso influenza direttamente la percezione della difficoltà del compito e la successiva prestazione
- Obiettivi troppo facili e poco incentivanti: giocare contro una squadra nettamente inferiore.
I segni dello stress:
- Irritabilità generica, iper eccitazione o depressione
- Secchezza della bocca e della gola
- Comportamento impulsivo, instabilità emotiva
- Incapacità di concentrazione
- Predominio del senso di stanchezza
- Ansietà fluttuante: sensazione di paura senza sapere esattamente di che
- Insonnia, derivante dalla difficoltà di conciliare il sonno
- Mancanza o eccesso di appetito
- Riso nervoso o senza motivo
- Arrotondamento dei denti
Training autogeno (TA)
Il training autogeno si basa principalmente sull’ allenamento graduale alla distensione e sulla deconcentrazione progressiva muscolare.
Assai efficace come tecnica anti stress il TA, fatto regolarmente e seriamente, permette di ridurre la tensione, di risparmiare e recuperare le energie migliorando cosi’ l’efficienza fisica e mentale.
Descrizione della tecnica.
Condizioni preliminari: ambiente più possibile tranquillo, luce bassa,temperatura equilibrata, abbigliamento comodo. La metodica del dott. Schultz è stata divisa da numerosi autori in tre fasi:
- Fase iniziale
- disponibilità al rilassamento
- verifica della pesantezza e del calore
- Fase intermedia
- verifica della regolazione cardiaca
- verifica della regolazione viscerale
- formulazione di fresco alla fronte
- Fase terminale
- ripresa neuromuscolare
- ripresa neurosensoriale
Conclusioni
Nel corso degli anni il ruolo dell’ allenatore è profondamente mutato e la gestione di una squadra di calcio è diventata una questione estremamente complessa ed articolata.
Non si tratta, infatti, di preparare semplicemente gli atleti esclusivamente da un punto di vista tecnico e tattico, ma di intervenire su fattori motivazionali e fornire strumenti per aiutarli a fronteggiare le situazioni di stress che si possono presentare nel corso della loro carriera agonistica.
Non vogliamo con questo trasformare l’allenatore in psicologo, ma riteniamo necessario unire a una conoscenza tecnica del calcio una sensibilizzazione alle problematiche presentate in questo lavoro.
Pertanto, come già esposto in precedenza l’allenatore potrà aiutare l’atleta nelle situazioni di stress, senza per questo doverle risolvere al posto suo, in modo da formare giocatori che siano in grado di risolvere situazioni complesse in maniera indipendente.