Pensare ed agire positivo.
"Impossible is nothing". Proprio così: tutto è possibile, ma solo per chi crede in sé stesso e negli altri.
Infatti la nostra mente è strutturata in maniera tale da poter essere allenata a credere, pensare ed agire positivamente, ad avere fiducia. Quindi ci si può allenare a pensare ed agire in modo positivo riguardo a qualunque situazione: basta sapere cosa si vuole e fare tutti i passi necessari per attuarlo.
Inoltre durante il proprio cammino si possono trovare resistenze, sensi di colpa che impediscono il raggiungimento dei propri obiettivi, ma se analizzati e compresi, si può trasformarli a proprio vantaggio.
Se un calciatore o una squadra non sperano di finalizzare azioni e strategie positive, come le esercitazioni tecnico-tattiche provate in allenamento, e temono la vittoria degli altri, allora significa che la loro aspettativa è la sconfitta. Questo è un problema grosso perché quando la mente genera un dubbio, questo influirà sulla prestazione del singolo e, di conseguenza, di tutta la squadra.
Pensare in termini di sconfitta, o al massimo di pareggio, determina un processo mentale ed emotivo inibitorio, in molteplici ambiti come la muscolatura, la creatività, la fantasia, lo spirito d’iniziativa (l’atleta non proverà la giocata per paura di sbagliare) e questo comporta influenze sulla coordinazione del gesto motorio: quindi anche i gesti tecnici più elementari come uno stop oppure un passaggio a 5 metri diventeranno errori.
Come migliorare allora? Bisogna credere il meglio, ovviamente secondo le proprie capacità collettive, ma con il gruppo unito: se la squadra è compatta, determinata, ha degli obiettivi ben chiari in mente e crede nel proprio allenatore e alla sua filosofia di intendere il calcio, allora la difficoltà si ridimensiona e la possibilità di evitare conflitti, dubbi aumenta.
Proprio per questo risulta fondamentale e cruciale il ruolo dell’allenatore.
Lui per primo deve pensare ed agire in positivo, per poterlo trasmettere ai suoi calciatori, senza contraddizioni. Perché questa ottica comporta l’abitudine della squadra a dare sempre, in allenamento e in gara, tutta sé stessa, da singolo a singolo.
E la passione è quel fattore che riesce a far esprimere un’atleta e una persona in questa direzione. Nello sport e nella vita.
Purtroppo però le persone veramente passionali sono poche. E quindi l’allenatore si può ritrovare calciatori che riservano una parte di sé stessi ogni settimana, ogni domenica, perché voglio esserci anche la partita dopo, oppure non danno il 100% per paura di sbagliare, di infortunarsi; ciò fa si che singolarmente non raggiungeranno mai i risultati ottimali e massimali secondo le loro capacità e potenzialità, e il collettivo ne risentirà dando mediocrità ai risultati.
Questo è il principio del fallimento.
Infatti la nostra mente è strutturata in maniera tale da poter essere allenata a credere, pensare ed agire positivamente, ad avere fiducia. Quindi ci si può allenare a pensare ed agire in modo positivo riguardo a qualunque situazione: basta sapere cosa si vuole e fare tutti i passi necessari per attuarlo.
Inoltre durante il proprio cammino si possono trovare resistenze, sensi di colpa che impediscono il raggiungimento dei propri obiettivi, ma se analizzati e compresi, si può trasformarli a proprio vantaggio.
Se un calciatore o una squadra non sperano di finalizzare azioni e strategie positive, come le esercitazioni tecnico-tattiche provate in allenamento, e temono la vittoria degli altri, allora significa che la loro aspettativa è la sconfitta. Questo è un problema grosso perché quando la mente genera un dubbio, questo influirà sulla prestazione del singolo e, di conseguenza, di tutta la squadra.
Pensare in termini di sconfitta, o al massimo di pareggio, determina un processo mentale ed emotivo inibitorio, in molteplici ambiti come la muscolatura, la creatività, la fantasia, lo spirito d’iniziativa (l’atleta non proverà la giocata per paura di sbagliare) e questo comporta influenze sulla coordinazione del gesto motorio: quindi anche i gesti tecnici più elementari come uno stop oppure un passaggio a 5 metri diventeranno errori.
Come migliorare allora? Bisogna credere il meglio, ovviamente secondo le proprie capacità collettive, ma con il gruppo unito: se la squadra è compatta, determinata, ha degli obiettivi ben chiari in mente e crede nel proprio allenatore e alla sua filosofia di intendere il calcio, allora la difficoltà si ridimensiona e la possibilità di evitare conflitti, dubbi aumenta.
Proprio per questo risulta fondamentale e cruciale il ruolo dell’allenatore.
Lui per primo deve pensare ed agire in positivo, per poterlo trasmettere ai suoi calciatori, senza contraddizioni. Perché questa ottica comporta l’abitudine della squadra a dare sempre, in allenamento e in gara, tutta sé stessa, da singolo a singolo.
E la passione è quel fattore che riesce a far esprimere un’atleta e una persona in questa direzione. Nello sport e nella vita.
Purtroppo però le persone veramente passionali sono poche. E quindi l’allenatore si può ritrovare calciatori che riservano una parte di sé stessi ogni settimana, ogni domenica, perché voglio esserci anche la partita dopo, oppure non danno il 100% per paura di sbagliare, di infortunarsi; ciò fa si che singolarmente non raggiungeranno mai i risultati ottimali e massimali secondo le loro capacità e potenzialità, e il collettivo ne risentirà dando mediocrità ai risultati.
Questo è il principio del fallimento.